Le sue biografie culinarie rappresentano un genere unico nella narrativa italiana: in questa intervista Ketty Magni ci svela i segreti delle sue pagine da gustare e da immaginare. Il suo ultimo libro, Artusi. Il bello e il buono, è dedicato al padre della gastronomia italiana, tra aneddoti, curiosità e ingredienti emotivi che esaltano i sensi.

CATEGORIA
Scienze gastronomiche
PUBBLICATO IL
28 Aprile 2020
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Come nascono le sue biografie culinarie? Quanto c’è di romanzato?
Nella fase che precede la stesura del manoscritto, studio con rigore la materia storica, approfondisco ogni aspetto culinario legato al periodo in oggetto e alcuni elementi indispensabili ad ambientare la vicenda in un contesto descritto accuratamente, come ad esempio la botanica e i tessuti. Nulla è lasciato al caso. Poi, mi calo in un personaggio dell’epoca, per far emergere il lato intimo e profondo del protagonista. In una dimensione umana e narrativa trasferisco le emozioni sulla pagina, che emergono spontaneamente nel vissuto quotidiano. In chiave romanzata interpreto il comportamento dei personaggi, prelevando informazioni utili da carteggi, da episodi significativi, da validi motivi.

Dalla musica all’arte: come sceglie i suoi personaggi?
Posseggo uno spirito curioso e mi interesso a ogni forma di creatività e di espressione estetica. Orgogliosa di essere italiana, prediligo personaggi famosi, o meno noti, ma sempre legati al nostro Belpaese. Adoro farli rivivere nei miei romanzi!
Con quale personaggio della storia o della letteratura uscirebbe a cena e dove lo porterebbe?
Per la Regina Teodolinda e per la corte dei duchi longobardi organizzerei un banchetto conviviale a casa mia, lasciando a mia madre il compito di preparare un buon risotto allo zafferano, color dell’oro, per onorare la nobiltà riunita.
Per una cenetta romantica, uscirei con il conte Camillo Benso di Cavour, patriota italiano, buona forchetta e grande intenditore di vini. Dal suo Castello di Grinzane lo condurrei in un ristorante vicino al fluire dell’acqua: in riva al lago, al mare, o al fiume. Naturalmente, lascerei a lui, la scelta di un vino rosso e corposo, appropriato al menu.
E se dovesse cucinare un Menu “letterato” a chi si ispirerebbe?
Rispecchierei i miei gusti culinari e i sentimenti. Per cominciare preparerei una celestiale frittata dannunziana, specialità vantata dal Vate; per continuare con un’ottima pasta alla Norma, tipica catanese, che ricorda l’opera di Bellini. Il mio menu proseguirebbe con un filetto alla Rossini, accompagnato da carciofi alla Cavour. Per finire in gloria, servirei delle frittelle di mele e pere, tanto amate dal Leopardi, brindando nei lieti calici di Verdi.

Noi ci occupiamo di food marketing: aiutiamo le aziende del food a comunicarsi. Crede anche i brand potrebbero guardare alla letteratura del cibo per creare dei format interessanti?
Oggi più che mai si avverte la necessità di valorizzare le eccellenze dei territori, di riscoprire antichi e sani prodotti. La letteratura culinaria può aiutare a promuovere piacevolmente, affiancando i consueti standard pubblicitari.
Passando ai luoghi della gastronomia, quali sono i suoi preferiti?
In primis, la regione Lombardia, dove risiedo, offre contesti degni di nota. Adoro la pasta con i missoltini e la segrigiola, tipica del lago di Como, e il paradello, una gustosa frittellona dolce.
Ho l’occasione di presentare i miei libri in tutte le regioni d’Italia e, da buongustaia, apprezzo molte specialità culinarie. Dunque, passo volentieri dal frico friulano, alla farinata di ceci ligure; dalla minestra d’orzo e lo strudel delle montagne, al baccalà vicentino e al tiramisù; dal gran bollito misto piemontese, agli spaghetti alla chitarra abruzzesi; dai carciofi alla romana, alle lasagne bolognesi e alla piadina romagnola con lo squacquerone. Dai cannoli siciliani, al pasticciotto leccese. Dal filetto al mirto sardo, alla pizza napoletana. Dai vincisgrassi marchigiani, alla ribollita toscana. Dal caciocavallo molisano, alla zuppa di lenticchie umbra. Viva l’Italia, patria della gastronomia!